LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente, ordinanza interlocutoria sul ricorso 1541-2012 proposto da: Lorenzoni Piero, rappresentato e difeso dall'avvocato Cirri Sepe Quarta Francesco Amerigo, unitamente all'avvocato Specchio Silvia Maria, che hanno depositato rinuncia al mandato; ricorrente; Contro Senato della Repubblica, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis; controricorrente; Avverso la decisione n. 141/2011 del Senato della Repubblica - Consiglio di Garanzia, depositata il 29 settembre 2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 dicembre 2012 dal Consigliere dott. Paolo D'Alessandro; uditi gli avvocati Francesco Amerigo Cirri Sepe Quarta, Tito Varrone dell'Avvocatura Generale dello Stato; udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale dott. Raffaele Ceniccola, che ha concluso per l'ammissibilita' del ricorso, rigetto nel merito. Ritenuto in fatto Piero Lorenzoni, dipendente del Senato, propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., affidato a due motivi, avverso la decisione n. 141 del 21 luglio-29 settembre 2011 in grado di appello del Consiglio di Garanzia del Senato in un giudizio di ottemperanza relativo a causa di lavoro. Resiste con controricorso il Senato della Repubblica, deducendo l'inammissibilita' del ricorso. Nell'imminenza dell'udienza pubblica il Lorenzoni ha depositato una memoria nonche' copia dei disegni di legge nn. 1560 e 3342 del Senato e 5472 della Camera dei Deputati. A seguito della produzione documentale, affettuata dalla parte personalmente, i suoi difensori hanno rinunciato al mandato. Considerato in diritto 1. Per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio dell'ufficio di difensore (di cui e' espressione l'art. 85 cod. proc. civ.), nessuna efficacia puo' dispiegare, nell'ambito del giudizio di cassazione (oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d'ufficio), la sopravvenuta rinuncia al mandato che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell'udienza di discussione gia' fissata (Cass. 9 luglio 2009 n. 16121). 2. Con il primo motivo il ricorrente lamenta che l'autodichia di cui all'art. 12 del Regolamento del Senato 17 febbraio 1971 comporti la violazione dei principi desumibili dagli artt. 2, primo comma, 3, 24, 102, secondo comma, 108, secondo comma, 111, secondo comma, e 113 cost. Recita il citato art. 12, per quanto qui interessa - e in parte qua queste Sezioni Unite devono dunque deve farne applicazione - che il Consiglio di Presidenza, presieduto dal Presidente del Senato, approva «i regolamenti interni dell'amministrazione del Senato e adotta i provvedimenti relativi al personale stesso nei casi ivi previsti». Tale norma, assimilata a quella piu' chiara del Regolamento della Camera dei Deputati, e' stata sempre interpretata nel senso della attribuzione al Senato della autodichia, con conseguente esclusione di qualsiasi giudice esterno sulle controversie che attengono allo stato ed alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti. Ne conseguirebbe l'inammissibilita' del ricorso ex art. 111 Cost. spiegato dal Lorenzoni. Ritengono peraltro queste Sezioni Unite che la questione prospettata dal Lorenzoni con il primo motivo sia, oltreche' rilevante, per le considerazioni svolte riguardo alla necessaria applicazione dell'art. 12 del Regolamento del Senato del 17 febbraio 1971, anche non manifestamente infondata, almeno in parte, tanto da giustificare che queste Sezioni Unite sollevino d'ufficio dinanzi a codesta Corte la questione di legittimita' costituzionale. 3. Non ignorano queste Sezioni Unite che la Corte costituzionale, con la risalente sentenza n. 154 del 1985, cui hanno fatto seguito le ordinanze di manifesta inammissibilita' nn. 444 e 445 del 1993, ha dichiarato la medesima questione inammissibile alla stregua del tenore letterale dell'art. 134 Cost., che fa riferimento alle leggi ed agli atti aventi forza di legge, e non cita - come oggetto del giudizio della Corte - i regolamenti parlamentari. Ritenne all'epoca la Corte costituzionale che i regolamenti parlamentari avrebbero potuto comprendersi nel disposto dell'art. 134 soltanto in via interpretativa e che siffatta interpretazione non era coerente, ed appariva anzi in contrasto, con la natura di democrazia parlamentare propria del nostro ordinamento. Nell'auspicare la riconsiderazione di tali conclusioni, si osserva che la questione era affrontata, nella relativa ordinanza di rimessione dell'11 luglio 1977, in tali termini: «Sul punto se la norma possa formare oggetto di sindacato di legittimita' costituzionale - vale a dire se essa sia riconducibile o assimilabile agli atti aventi forza di legge, cui si riferisce l'art. 134 della Costituzione - puo' subito dirsi che il problema dovrebbe essere risolto affermativamente. E' opinione prevalente della dottrina che i regolamenti parlamentari di cui agli artt. 64 e 72 della Costituzione (e tale e' il Regolamento approvato dal Senato il 17 febbraio 1971) - regolamenti cui la Costituzione riserva la disciplina di date materie (l'organizzazione delle Camere ed il procedimento per l'esame e la approvazione dei disegni di legge) salvo quanto essa stessa direttamente dispone in proposito - costituiscono fonti (fonti-atto) di diritto oggettivo e sono assimilabili alle leggi formali, con le quali versano, per la succennata riserva, in rapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello. Codesta natura dei regolamenti vale poi ad escludere che alla loro denunciabilita' davanti alla Corte costituzionale si opponga il dogma dell'insindacabilita' degli interna corporis degli organi costituzionale, dogma peraltro ripudiato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 9 del 1959 (...). L'assimilabilita' alle leggi formali appare ancor piu' evidente per la parte in cui i regolamenti parlamentari, in connessione con la disciplina dell'organizzazione delle Camere, regolino rapporti tra Camere e terzi, ipotesi che e' appunto quella in argomento». Nel rifarsi integralmente a tale prospettazione, queste Sezioni Unite sottolineano altresi' che una cosa e' l'esercizio delle funzioni legislative o politiche delle Camere, altra cosa gli atti con cui le Camere provvedono alla loro organizzazione. Se e' assunto di tutta evidenza che alle Camere ed agli altri organi costituzionali debba essere garantita una posizione di indipendenza sicche' essi, nell'esercizio delle loro attribuzioni, siano liberi da vincoli esterni suscettibili di condizionarne l'azione, cosa del tutto diversa e' dire che l'autodichia sui propri dipendenti sia una prerogativa necessaria a garantire l'indipendenza delle Camere affinche' non siano condizionate da altri poteri nell'esercizio delle loro funzioni. Come si e' rilevato in dottrina, l'autodichia non e' coessenziale alla natura costituzionale degli organi supremi, perche' la Costituzione non tollera la esclusione della tutela giurisdizionale di una categoria di cittadini, e l'autonomia spettante al Parlamento non e' affatto comprensiva del potere di stabilire norme contrarie alla Costituzione. 4. Venendo quindi alla non manifesta infondatezza della questione, in primo luogo l'autodichia del Senato - prevista dunque da un regolamento minore - appare in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto una categoria di cittadini e' esclusa dalla tutela giurisdizionale in ragione di un elemento (l'essere dipendenti del Senato) non significativo ai fini del loro trattamento differenziato. 5. Vi e' conseguentemente violazione dell'art. 24 Cost., secondo cui «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti», che definisce, al secondo comma, la difesa «diritto inviolabile». 6. Deve poi evidenziarsi la violazione dell'art. 102, secondo comma, Cost., essendo gli stessi soggetti sottoposti ad un giudice speciale, quanto alle loro cause di lavoro, istituito dopo l'entrata in vigore della Costituzione. 7. Vi e' anche violazione dell'art. 111 Cost., recentemente novellato, quanto al principio del giusto processo (primo comma), non potendo definirsi «giusto» un processo che si svolge dinanzi ad una delle parti, alla necessita' che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (secondo comma), il che evidentemente non e' nell'autodichia, ed al fatto che contro le sentenze e' sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge (settimo comma). Proprio riguardo alla sospetta violazione dell'art. 111 Cost., appare rilevante il fatto che la CEDU, nella sentenza 28 aprile 2009 (c.d. sentenza Savino), abbia si affermato che, ai sensi dell'art. 6, comma 1, della Convenzione, e' «tribunale» non soltanto una giurisdizione di tipo classico, ma una qualsiasi autorita' cui competa decidere, sulla base di norme di diritto, con pienezza di giurisdizione e a conclusione di una procedura organizzata, su una qualsiasi questione di sua competenza, adottando una decisione vincolante, non modificabile da un organo non giurisdizionale, ma in conclusione abbia statuito, quanto ai motivi di ricorso, l'assenza di indipendenza e di imparzialita' degli organi giurisdizionali della Camera, ed in particolare dell'organo di appello, ritenendo che la sua composizione determini una inammissibile commistione, in capo agli stessi soggetti, tra l'esercizio di funzioni amministrative e l'esercizio di funzioni giurisdizionali: i componenti dell'Ufficio di Presidenza, cui spetta l'adozione dei provvedimenti concernenti il personale, infatti, sono poi chiamati a giudicare sulle controversie aventi ad oggetto i medesimi atti amministrativi. Ed in effetti - come rilevato dalla dottrina in sede di commento alla sentenza della CEDU - sembra mancare nella specie il carattere di terzieta' dell'organo giudicante, che e' attributo connaturale all'esercizio della funzione giurisdizionale, considerato ad esempio che le decisioni della Commissione contenziosa, ratificate col visto del Presidente del Senato, possono riguardare ricorsi contro decreti del Presidente del Senato. A seguito di tale sentenza e' da notare che nel Senato della Repubblica sono stati comunicati alla Presidenza taluni disegni di legge volti a superare il sistema dell'autodichia. 8. E' infine violato anche l'art. 113 Cost., secondo cui, contro gli atti della pubblica amministrazione (e tale e', per quanto sin qui detto, l'Amministrazione del Senato rispetto agli atti di gestione del personale) e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa, in quanto l'autodichia preclude l'accesso agli organi di tutela giurisdizionale. 9. In conclusione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione sollevano d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del Regolamento del Senato della Repubblica 17 febbraio 1971, come successivamente modificato, nella parte in cui attribuisce al Senato l'autodichia sui propri dipendenti, per contrasto con gli artt. 3, 24, 102, secondo comma, 111, commi primo, secondo e settimo, e 113, primo comma, della Costituzione.